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Non vogliono giocare con me

A CASA DI EMPATIA. Primo Episodio.

Andrea, 8 anni, torna dal parco con un’aria umiliata e contrariata perchè i ragazzi che conosce non hanno voluto giocare con lui.

UNA CASA SENZA EMPATIA

Suo papà Guglielmo solleva gli occhi dal cellulare: “Non ricominciamo. Senti, Andrea, sei un ragazzo grande, adesso, non un bambino. Non devi rimanere male tutte le volte che qualcuno ti volta le spalle. Non devi far altro che dimenticarlo. Chiama uno dei tuoi compagni di scuola. Leggi un libro. Guarda un po’ di tv”.

È piuttosto probabile che Andrea pensi: “Papà ha ragione. Mi comporto come un bambino. E questo solo perché quei ragazzini non vogliono giocare con me. Mi chiedo che cos’ho che non va. Perché non riesco a dimenticare tutto come dice papà? Sono proprio una lagna. Per questo nessuno mi vuole come amico”.

UNA CASA EMPATICA

Suo papà Guglielmo posa il cellulare, guarda suo figlio e dice: “Hai l’aria triste, Andrea, dimmi un po’ che ti succede.”

Andrea: “Giulio e Tommaso non vogliono giocare con me a basket.

Papà: “Scommetto che la cosa ti fa sentire male”

Andrea: “Proprio così. Mi fa tristezza e rabbia.”

Papà: “Lo vedo”

Andrea: “Non capisco perché non posso giocare a basket con loro.”

Papà: “Gliene hai parlato?”

Andrea: “No, non voglio”

Papà: “Cosa pensi di fare?”

Andrea: “Non lo so. Forse me ne infischio”

Papà: “Credi che sia l’idea migliore?”

Andrea: “Ma sì. Forse domani cambieranno idea. Intanto oggi telefono a un mio compagno di scuola, o leggo un libro. Magari guardo un po’ di tv”.

PENSIAMOCI SU…

In entrambi gli scenari Guglielmo è preoccupato per i sentimenti di suo figlio. Forse si preoccupa già da un po’ per il fatto che Andrea è “ipersensibile” ai rifiuti che gli oppongono i suoi amici. Vorrebbe che suo figlio fosse più forte. 

Nel primo scenario, però, Guglielmo compie il solito errore: permette che i suoi obiettivi su Andrea si intromettano nel loro rapporto. Invece di empatizzare con lui, lo critica, gli fa una mini-predica, offre consigli non richiesti. Il suo sforzo, per quanto animato dalle migliori intenzioni, ottiene come risultato soltanto che Andrea se ne va via più ferito, sempre più incompreso e più “lagna” che mai.

Nel secondo scenario, invece, Guglielmo si concede tempo per stare ad ascoltare suo figlio, e lo rassicura sul fatto che ne comprende l’esperienza. Ciò aiuta Andrea a sentirsi più a suo agio, più sicuro di sé. Alla fine il ragazzo arriva alle stesse conclusioni che il padre avrebbe potuto offrirgli. Ma ha trovato queste soluzioni da solo, se ne è fortificato, e non ha intaccato la sua autostima. 

Ecco come funziona l’empatia. Quando cerchiamo di comprendere l’esperienza dei nostri figli, essi si sentono appoggiati da noi. Sanno che siamo dalla loro parte. Quando evitiamo di criticarli, sminuendo i loro sentimenti, o cercando di distrarli dai loro reali obiettivi, ecco che ci permettono di entrare nel loro mondo. Ci dicono come si sentono. Ci offrono le loro opinioni. Le loro motivazioni diventano meno misteriose, e ciò a sua volta si trasforma in un’ulteriore comprensione. I nostri figli cominciano a fidarsi di noi. Poi, quando il conflitto dovesse esplodere, avremo più terreno in comune a disposizione per risolvere insieme il problema.

(brano liberamente tratto da: John Gottman, Intelligenza emotiva per un figlio)

Immagine: Beatrice Alemagna, Un grande giorno di niente

a cura della redazione di Azione Educativa

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