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Non è giusto!

A CASA DI EMPATIA. Quinto episodio.

Il postino recapita un regalo per il compleanno di Gabriele, 4 anni. Suo fratello Valerio reagisce con irritazione: “Non è giusto!”

UNA CASA SENZA EMPATIA

Il papà spiega a Valerio che, a suo tempo, la giustizia verrà ristabilita: “Quando arriverà il tuo compleanno, probabilmente la nonna manderà anche a te un pacchetto”.

UNA CASA EMPATICA

Il papà risponde a Valerio: “Vorresti che la nonna avesse mandato un pacchetto anche a te, vero? Scommetto che è per questo che ti senti geloso o invidioso”.

Valerio pensa che già, è proprio così: “Anche se è il compleanno di Gabriele e io dovrei prendere le cose con calma, mi sento geloso e invidioso. Papà mi capisce”. 

Il papà prosegue: “Anch’io ero geloso e anche invidioso quando ero piccolo se la zia Marina riceveva un regalo.”

PENSIAMOCI SU…

L’affermazione del papà nella casa senza empatia spiega senz’altro la logica del momento, ma nega i sentimenti di Valerio. Ora, oltre a sentirsi geloso del regalo, Valerio si sentirà anche arrabbiato perché il papà non capisce la sua posizione poco invidiabile. Quando un bambino esprime i suoi sentimenti non serve applicare la logica; è molto meglio limitarsi ad ascoltare in modo empatico.

Nella casa empatica, il papà riflette sulla reazione di Valerio, lo sta ascoltando in modo empatico.

In questo caso ascoltare significa molto più di una semplice raccolta dei dati che ci giungono attraverso le orecchie. Gli ascoltatori empatici utilizzano gli occhi per cogliere le espressioni fisiche dell’emozione dei bambini; usano l’immaginazione per vedere la situazione nella prospettiva del bambino; usano le parole per riflettere, in modo rilassato e non critico, su quel che hanno ascoltato per aiutare i bambini a dare un nome alle loro emozioni. Ma, cosa più importante, usano i loro cuori per sentire quello che sentono i loro figli. Il papà, inoltre, rassicura Valerio sul fatto che le sue emozioni sono valide, dato che anche lui stesso da bambino le aveva sperimentate. Perciò Valerio si sente compreso dal papà, è rassicurato dal fatto che suo papà lo sta ascoltando con attenzione, quindi si trova in una posizione migliore per ascoltare le parole rassicuranti del padre che gli spiega che, a suo tempo, le cose “andranno a posto”.

Il papà di Valerio innanzitutto ha ascoltato empaticamente, e poi ha aiutato il figlio a identificare la sensazione sgradevole che stava provando come “gelosia”. Fornire ai figli le parole può aiutarli a trasformare una sensazione amorfa, raccapricciante e sgradevole in qualcosa di definibile, e quindi con confini ben precisi, come ogni altro normale elemento all’interno della vita quotidiana. La collera, la tristezza e la paura diventano così esperienze comuni a tutti e che tutti sono in grado di gestire. Dare un nome alle emozioni va di pari passo con l’empatia. Un genitore vede il figlio in lacrime e dice: “Ti senti triste, non è vero?”. Ora il bambino non solo si sente compreso, ma ha anche una parola per definire il suo stato d’animo.

Studi specifici indicano che l’atto di dare un nome alle emozioni ha di per sé un effetto rasserenante sul sistema nervoso e aiuta i ragazzi a recuperare più in fretta dalle situazioni di turbamento. Quindi è importante aiutare i figli a trovare le parole per descrivere ciò che stanno provando. Ciò non significa suggerire ai bambini quel che dovrebbero sentire. Significa semplicemente aiutarli a sviluppare un vocabolario con cui esprimere le proprie emozioni. Maggiore sarà la precisione con cui i ragazzi riusciranno a esprimere i loro sentimenti, meglio sarà. Se vostro figlio è arrabbiato, ad esempio, potrebbe sentirsi frustrato, tradito o geloso. Se è triste potrebbe sentirsi ferito, abbandonato, geloso, svuotato. Tenete conto che spesso la gente prova emozioni miste, che per qualche ragazzo possono essere problematiche in sé. Un ragazzo che va al campeggio estivo, per esempio, può sentirsi sia orgoglioso della sua indipendenza, sia spaventato all’idea di provare nostalgia di casa. Può pensare: “Tutti sono contenti di partire, ma io mi sento in ansia. Cosa ho che non va?”. I genitori possono aiutarlo in una situazione del genere, guidandolo ad esplorare la gamma delle sue emozioni e rassicurandolo sul fatto che è normale, a volte, provare un miscuglio di diverse emozioni allo stesso tempo.

(brano liberamente tratto da John Gottman “Intelligenza emotiva per un figlio”)

Immagine tratta da: Anthony Browne, La mia mamma, il mio papà. Donzelli Editore

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