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Sono in ritardo!

A CASA DI EMPATIA. Secondo Episodio.

Laura è in ritardo per andare al lavoro mentre cerca di convincere la sua Matilde di 3 anni a mettersi la giacca per portarla a scuola. Dopo una colazione frettolosa e una battaglia su quali scarpe mettere, anche Matilde è nervosa. In realtà non le importa che la mamma abbia un appuntamento di lavoro tra meno di un’ora. Vuole stare a casa a giocare e glielo dice. Quando Laura le risponde che ciò è impossibile, Matilde si butta a terra. Si sente triste e irritata e si mette a piangere.

UNA CASA SENZA EMPATIA

Due scenari:

1. Laura dice a Matilde che il suo rifiuto ad andare a scuola è ridicolo, e che non c’è nessuna ragione di intristirsi per il solo fatto di uscire di casa: “Matilde, dai! Tutte queste storie per andare a scuola! Ma se ieri ci sei andata tanto volentieri!”. Poi prova a distrarla dai pensieri tristi con un dolce o parlandole delle attività divertenti che la maestra ha preparato per lei: “Ti va un biscotto? Oppure vieni qui, vieni a prendere la caramella che ho nella borsa. Su, andiamo, sicuramente la maestra ha preparato qualche bella sorpresa a scuola”.

2. Laura rimprovera Matilde perché si rifiuta di collaborare, le dice che è stanca del suo comportamento infantile e la minaccia: “Matilde, basta! Non ne posso più! Tutte le mattine una fatica per vestirti a farti uscire! Guarda che gli altri bambini non piangono la mattina per uscire di casa! Mi stai facendo perdere un sacco di tempo!!! Adesso se non ti alzi arriva una sculacciata”.

UNA CASA EMPATICA

Due scenari: 

1. Laura abbraccia Matilde insieme alla sua collera e alla sua tristezza ed empatizza con lei: “Che succede Matilde? Non vuoi andare a scuola? Forse vuoi rimanere a casa con me a giocare…lo capisco, piacerebbe anche a me”. Le dice che è perfettamente naturale per lei voler rimanere a casa. Ma poi si trova a corto di idee sul da farsi. Non vorrebbe gridare, sculacciare o ricattare la figlia, ma rimanere a casa non è neppure un’opzione praticabile. Alla fine arriva a un compromesso: “Giocherò con te per dieci minuti, ma poi usciremo dalla porta senza piangere”. Ma dura fino alla mattina dopo quando il problema si ripropone.

2. Laura inizia empatizzando con Matilde e facendole capire che comprende la sua tristezza. Ma poi va oltre, fornendo a Matilde una guida per gestire i suoi sentimenti spiacevoli:

Laura: Mettiti la giacca, Matilde. È ora di andare.

Matilde: No! Non voglio andare a scuola.

Laura: Non ci vuoi andare? Perché?

Matilde: Perché voglio stare a casa con te.

Laura: Davvero?

Matilde: Sì. Voglio stare a casa.

Laura: Caspita! Penso di capire come ti senti. Ci sono certe mattine che vorrei anch’io rimanere con te, accoccolati in poltrona a guardare libri insieme, invece di uscire di casa. Ma sai una cosa? Ho dato la parola a quelli del mio ufficio che sarei stata lì alle nove. E non posso mancare alla parola.

Matilde: (mettendosi a piangere) Ma perché no? Non è giusto. Io non ci voglio andare!

Laura: Vieni qui, Matilde (la prende in braccio). Mi spiace, amore, ma non possiamo rimanere a casa. Scommetto che è questo che ti fa arrabbiare, vero?

Matilde: Sì.

Laura: E sei anche un po’ triste, eh?

Matilde: Sì.

Laura: Anche io sono un po’ triste (la lascia piangere per un po’, continuando a tenerla stretta, e lasciando che sfoghi le lacrime). Senti che cosa facciamo. Pensiamo a domani, quando non dovremo andare al lavoro e a scuola. Domani potremo trascorrere tutta la giornata insieme. Perché non pensi a qualcosa di speciale che ti piacerebbe fare domani?

Matilde: Possiamo mangiare le frittelle e guardare i cartoni?

Laura: Certo! Sarebbe una grande idea. Nient’altro?

Matilde: Possiamo anche andare in bici al parco?

Laura: Perché no!?!

Matilde: E può venire anche Sofia?

Laura: Forse. Dobbiamo chiederlo alla sua mamma. Ma adesso è ora di andare, d’accordo?

Matilde: Ok.

PENSIAMOCI SU…

Possiamo osservare nei vari scenari gli atteggiamenti di diverse tipologie di genitori. Il primo abita nella casa senza empatia. È il genitore noncurante, un genitore che sminuisce, ignora o sottovaluta le emozioni negative dei figli. È convinto che i sentimenti dei bambini siano irrazionali e quindi irrilevanti. Il suo desiderio è che le emozioni negative scompaiano presto e usa spesso la distrazione come mezzo per mettere a tacere le emozioni del figlio. È convinto che le emozioni negative siano dannose e pensa che concentrarsi su di esse non faccia altro che peggiorare le cose, quindi si concentra di più sul superare le emozioni che non sul comprenderne il significato. A volte ha scarsa consapevolezza delle sue stesse emozioni e di quelle degli altri, infatti si sente a disagio, impaurito, ansioso, infastidito, ferito o sopraffatto dalle emozioni del bambino. 

Il secondo abitante della casa senza empatia è il cosiddetto genitore censore, è la mamma o il papà che critica le espressioni dei sentimenti negativi dei figli e può arrivare a rimproverarli o punirli per queste manifestazioni emotive. Di solito enfatizza la necessità di conformarsi ad uno standard di buon comportamento. È convinto che le emozioni negative debbano essere limitate nel tempo e vadano controllate. È convinto che le emozioni negative riflettano tratti negativi del carattere oppure che vengano utilizzate dal bambino per manipolare gli altri.

Anche nella casa empatica abitano due tipi simili ma diversi di genitori: nel primo caso abbiamo un genitore lassista, che accetta le emozioni dei figli e si dimostra empatico, ma non riesce a offrire loro una guida o a porre limiti al loro comportamento. Offre conforto al figlio nel momento in cui questi prova sentimenti negativi, ma offre scarse indicazioni di comportamento, non insegna nulla al bambino rispetto alle sue emozioni e ai metodi per risolvere i problemi, non pone dei limiti. È convinto che per gestire le emozioni negative basti lasciarle sfogare.

Il secondo è un genitore allenatore emotivo: potrebbe sembrare piuttosto simile al genitore noncurante, poiché entrambi cercano di distrarre Matilde, inducendola a pensare a qualcosa di diverso dallo stare a casa. Ma c’è una differenza importante. Da “genitore allenatore”, Laura riconosce la tristezza di Matilde, aiuta la figlia a dare un nome a quella sensazione, le lascia il tempo di assaporare i suoi sentimenti e le sta vicino mentre piange. Non cerca di distrarre la sua attenzione dal sentimento. Né la rimprovera per il fatto di provarlo, come avrebbe fatto il genitore censore. Al contrario, fa comprendere alla figlia che rispetta i suoi sentimenti e pensa che i suoi desideri siano validi e legittimi. Anche la mamma lassista inizialmente empatizza con la figlia, ma non riesce a porre dei limiti. La mamma allenatrice, invece, impiega del tempo a trattare i sentimenti di Matilde, ma le fa capire chiaramente che non vuole fare tardi al lavoro e mancare alla parola data.  Matilde ci rimane male, ma si tratta di un sentimento che sia lei sia la sua mamma riescono ad affrontare. Una volta che Matilde ha avuto la possibilità di identificare, sperimentare e accettare l’emozione, Laura le mostra che è possibile andare oltre i suoi sentimenti tristi e guardare avanti, verso il divertimento del giorno successivo.

(brano liberamente tratto da John Gottman “Intelligenza emotiva per un figlio”)

illustrazione di Jeanne Ashbè, A più tardi. Babalibri.

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